La chiusura dei piccoli ospedali senza strategia di programma è una scelta
demenziale. In Italia gli ospedali piccoli ( stando all’accordo Stato-Regioni non dovrebbero
più esistere), con la bassa qualità dei servizi erogati è senza rianimazione ed è quindi «pericoloso» per l'incolumità dei pazienti.
È sicuramente più sicuro curarsi in un ospedale grande che assiste ogni anno un elevato numero di pazienti.Ma dopo anni di continuo sperpero di denaro pubblico soprattutto nel SSR siamo
arrivati al dunque, le casse dello Stato sono vuote e i tecnici al governo devono tentare di raschiare il barile per trovare risorse che evitino il collasso definitivo del sistema Paese.
È ben noto, ai professionisti e alle autorità sanitarie, che strutture ospedale piccole non sono in grado di garantire alcuna efficienza e sicurezza, perché i costi delle tecnologie necessarie per una gestione “dignitosa” di patologie di media complessità (non volendo parlare di emergenza) sono tali che risulta impensabile che strutture di queste dimensioni possano esserne dotate. È quindi indispensabile non solo essere realisti, ma fare uno sforzo di onestà intellettuale e informare correttamente i cittadini di questa realtà non perpetrando,
a puri fini di “consenso elettorale”, quella politica che ha portato il nostro Paese a
essere costellato di “pseudo strutture ospedaliere". Solo l’abnegazione, il sacrificio e la professionalità degli operatori sanitari
impediscono che in queste strutture si compiano quotidianamente tragedie superiori a quelle che la cronaca già troppo frequentemente riporta sotto il titolo della “malasanità”.
Ma la malasanità comincia nel non informare i cittadini che le regole della sicurezza e della buona qualità dei servizi devono passare da una
riorganizzazione del nostro servizio sanitario pubblico, che rimane innegabilmente
tra i migliori nonostante sia tra i meno finanziati del mondo occidentale. Bisogna innanzitutto fare un grande sforzo di chiarezza e onestà verso la
popolazione. Alcuni politicanti devono smettere di fare promesse demagogiche a puri fini
elettorali. È poi indispensabile che si avvii concretamente quella ristrutturazione
del sistema, che deve adeguarsi al mutamento dell’epidemiologia del nostro Paese: gli ospedali, territorialmente distribuiti in una logica di rete di servizi a intensità crescente, attrezzati con le migliori e più moderne tecnologie, devono dedicarsi al trattamento dell’emergenza, delle patologie acute e di quelle più complesse. Tutto il resto deve essere gestito territorialmente e al domicilio dei pazienti (dove una giornata di assistenza costata meno della metà di
una in ospedale), riorganizzando il territorio (cosa sempre annunciata, legiferata,
ma sempre scarsamente applicata) con presidi di primo livello tecnologicamente
attrezzati, capillarmente distribuiti e facilmente accessibili ai cittadini. In questi centri, aperti minimo 12 ore al giorno, i medici di medicina generale associati e specialisti possono fornire risposte rapide e appropriate per le urgenze (una percentuale altissima degli accessi ai pronti soccorsi sono codici bianchi e verdi,
quindi impropri),ma anche per l’assistenza dei pazienti affetti da malattie croniche
o non autosufficienti e, inevitabilmente, per la prevenzione.Per questo i tecnici del ministero non hanno bisogno di inventarsi nulla: in Italia
una bassa percentuale dei medici di medicina generale si sono negli ultimi quindici
anni organizzati, investendo personalmente, creando società cooperative per
dotarsi di spazi, attrezzature e personale in grado di dare una risposta idonea ai
problemi della sanità territoriale. Queste loro esperienze sono state studiate, misurate, e oggi, in alcune regioni, si stanno anche sperimentando innovativi modelli gestionali della cronicità ( in Lombardia, Toscana,Emilia Romagna, Ospedali di comunità etc.). Tutto ciò dimostra che esiste una parte, per quanto
ancora modesta, del mondo professionale sanitario che non teme l’innovazione e
le sfide di modernizzazione. È su questi modelli che il governo dei tecnici deve puntare se vuole realmente “modernizzare” un sistema senza distruggerlo, trasferendo quelle risorse improduttive che oggi vanno disperse in mille rivoli inutili verso modalità organizzative che nel breve periodo possono migliorare l’efficienza del sistema senza portarlo invece allo smantellamento.
Raffaele Diglio
già segretario provinciale UGL Sanità di Milano Monza Brianza e Lodi.